Intelligenza Nutrizionale

Anche se lavoro in un ristorante con una trentina di coperti, mi piace pensare ai grandi numeri. Non credo sia una contraddizione: il lavoro tecnico e i ragionamenti che facciamo al Reale offrono continui spunti per prodotti destinati a servire un pubblico molto più vasto di quello che viene a Castel di Sangro. È un fenomeno di “gocciolamento” dall’alto verso il basso che riguarda altri settori (il design, la moda, la Formula 1…) e ne hanno già parlato in tanti.

In questa direzione va il progetto “IN-Intelligenza Nutrizionale”, presentato a La Sapienza di Roma lo scorso 19 ottobre. Ci lavoriamo da un anno e mezzo, cioè da quando Lorenzo Miraglia, del Gruppo Giomi/GioService (che gestisce la ristorazione di diverse strutture ospedaliere italiane) mi ha chiesto di ripensare tutto il processo di produzione dei pasti per i pazienti, a partire dal Cristo Re di Roma. Volevamo riportare in corsia la bontà, intesa sia come piacevolezza dei piatti sia come coefficiente di benessere ottenuto attraverso il cibo: il cibo può essere cura ma purtroppo, come ci ha spiegato il professor Lorenzo Donini, del Dipartimento di Scienza dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana dell’Università La Sapienza, che ha seguito la nostra sperimentazione e ha certificato il nostro metodo, al vitto ospedaliero sono legati moltissimi casi di malnutrizione. Un ingrediente trasformato male è un ingrediente rovinato, e bene non fa.

Sapevo di avere due grandi paletti, da un lato il food cost (circa 10 Euro che devono coprire tre pasti al giorno per paziente, che significava dover lavorare con le stesse materie prima usate dall’ospedale), dall’altra la mancanza di personale specializzato in cucina, per cui spesso un gesto semplice come dosare il sale per un sugo varia anche di molto a seconda di chi si trova ai fuochi. Poi c’erano le linee guida ministeriali che regolamentano l’apporto dei nutrienti somministrati ai pazienti per via alimentare. Abbiamo cominciato studiando i vecchi menù, li abbiamo scomposti considerando diversi fattori, dal numero di volte in cui veniva usato uno stesso ingrediente, agli abbinamenti per colore e consistenza. Come prima cosa abbiamo eliminato i grassi inutili e semilavorati come dadi industriali e paste ripiene. Poi abbiamo applicato un “metodo”. Abbiamo capito che per far quadrare i conti, rispettare il valore nutrizionale dei cibi, e aggirare i limiti strutturali, insomma per creare un modello sostenibile, tutto il processo doveva essere standardizzato, in modo da essere riproducibile sempre con lo stesso risultato. Quindi: non dovevamo creare singole ricette bensì un protocollo applicativo che spiegasse come trattare il singolo ingrediente, il pomodoro, la zucchina, il merluzzo, e come impostare tutto il lavoro, dalla preparazione, all’assemblaggio, al servizio. Ci siamo riusciti attingendo all’alta tecnologia e alle procedure che impieghiamo in alta ristorazione.

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Ritorno all’esempio della salsa di pomodoro, che è un buon banco di prova. Il metodo classico è: pentolone sul fuoco, e a seconda del tempo di cottura e del palato dell’operatore di cucina, si sala più o meno e si va anche molto in riduzione, con un notevole calo peso e quindi spreco di materia e di sostanze nutrienti. Noi prendiamo il pomodoro e lo inseriamo in una busta sottovuoto, poi lo cuociamo a 120 ºC vapore: non aggiungiamo grassi né soffritti, non perdiamo materia (zero calo peso su un chilo di pomodoro, contro il 35% di calo peso medio), non perdiamo nutrienti. Resta una “base” di pomodoro rosso brillante, versatile e sempre uguale: la usiamo nello spezzatino di maiale con ceci, nella lasagna della domenica, nel riso. Un’altra tecnica che usiamo è la salamoia, ovvero un carpione di acqua, sale, olio e maizena, in cui cuociamo il vegetale, un processo che permette di limitare la fuoriuscita di acqua e la perdita di clorofilla: così manteniamo il colore brillante delle verdure (come nella vellutata di spinaci con ricotta vaccina), un importante elemento di piacevolezza visiva che può incidere positivamente sull’umore del paziente. Poi c’è la tecnica dell’alta temperatura con pellicola di amido: sfrutta un film sigillante a base di maizena che protegge l’umidità interna dell’alimento anche ad alte temperature. Così possiamo cuocere velocemente, senza danneggiare la fibra interna, e al contempo creare una patina croccante.

Una prova di assaggio e poi una prova di somministrazione in due reparti del Cristo Re (Urologia e Medicina) hanno fatto registrare un notevole gradimento da parte dei soggetti coinvolti. Le strutture, il gusto e l’aspetto dei cibi nel menù di IN sono migliori. Inoltre, per la prima volta, grazie al Dottor Roberto Luneia del Laboratorio Analysis, le pietanze sono state testate non solo prima ma anche dopo la trasformazione. Succede qualcosa quando un alimento è cotto male: perde antiossidanti e sviluppa i cosiddetti pro-ossidanti, nocivi. Con la trasformazione “dolce” studiata per IN abbiamo registrato una perdita di antiossidanti inferiore al 7% e una quota pressoché nulla di pro-ossidanti. Intelligenza Nutrizionale è un progetto-pilota e partirà il 15 dicembre al Cristo Re, dove si sta ultimando l’adeguamento delle cucine: un investimento per la tecnologia di preparazione alimentare e di servizio è necessario (abbattitori e forni, carrelli a temperatura controllata), ma si risparmia molto sulla materia prima, in gran parte grazie alla riduzione drastica del calo peso e in parte con una politica di riutilizzo degli scarti – con le acque di cottura dei diversi vegetali facciamo un brodo di verdura. Senza contare il risparmio indiretto legato al rapporto tra migliore alimentazione e riduzione dei tempi di degenza. Partiremo con un menù “base”, successivamente metteremo a punto le varianti richieste da pazienti con patologie che richiedono percorsi alimentari particolari. L’idea è di passare poi ad altre strutture – non solo ospedaliere. Le potenzialità sono su tutta la ristorazione collettiva: si pensi alle scuole, alle carceri, alle case di riposo, alle mense aziendali. E poi una cosa che per me ha un grande valore: la possibilità di riqualificare, attraverso una formazione che in principio faremo noi, la figura del cuoco d’ospedale.

Magari in futuro qualche giovane vorrà fare proprio quello.   

IN-Intelligenza Nutrizionale di Niko Romito